Trattasi di libere rielaborazioni di casi clinici reali nelle quali l'utilizzo di nomi e scenari fittizi tutela la privacy delle persone coinvolte senza nulla togliere alle dinamiche psicologiche sottese.
Quando si presentò nel mio studio di Forlì dopo avermi contattato via mail, Tessa aveva una quarantina d'anni. Era una ragazza elegante,
gentile e carina, dai modi molto cortesi.
Iniziò a raccontarmi del suo problema:
"Non so come fare, mi trovo in una situazione soffocante e non ne posso più! Sono scontenta, irritabile, triste. E sento che sto vivendo una vita che non mi appartiene!".
Mi disse che, all'apparenza, lei conduceva un'esistenza del tutto "normale": un lavoro da responsabile in un'azienda solida, un marito che ci teneva molto a lei, una bellissima bimba di 3 anni, genitori a cui era molto legata, un giro soddisfacente di amicizie e frequentazioni. Conduceva un tenore di vita invidiabile dal punto di vista economico: aveva una bella casa di proprietà, anche il marito era responsabile in una grossa ditta e le entrate permettavano loro di togliersi diverse soddisfazioni.
Ma Tessa non era minimamente soddisfatta, anzi, era piuttosto abbattuta e sconfortata.
Raccontava di sentirsi perennemente in gabbia: la sua sensazione era quella di un avvilimento senza speranza.
Iniziammo a vederci con frequenza settimanale.
Nonostante avesse dovuto chiedere al lavoro un permesso fisso nel giorno e ora della nostra seduta, lei veniva regolarmente ai nostri incontri.
Mano a mano che prese fiducia nel nostro lavoro ed iniziò ad aprirsi, apparvero sotto una luce diversa i suoi legami affettivi.
Da tempo non provava più trasporto per il marito, reo di averla relegata ad un interesse di secondo piano da quando era nata la piccolina.
"Mio marito mi cerca solo per fare sesso e a me non mi va!", lamentava spesso Tessa.
Di fatto i loro rapporti sessuali si erano ridotti tanto e lei, piuttosto che darsi al marito, preferiva "fare da sola".
Se il motivo ufficiale della limitata attività sessuale di coppia era una vaginite, che le si manifestava con singolare regolarità subito
dopo il rapporto stesso, venne fuori che lei provava un forte risentimento nei suoi confronti.
In particolare non sentiva più di poter contare sempre e comunque sul suo appoggio, cosa di cui aveva sofferto molto durante la gravidanza:
"Io, in quel periodo, avevo bisogno spesso di lui, della sua presenza, della sua vicinanza, del suo sostegno e glielo dicevo ma lui non considerava importanti le mie richieste...".
Il sordo rancore che ne era nato e che Tessa si portava dietro da tempo, l'aveva anche spinta, due anni prima, tra le braccia di un
giovane e focoso amante, che frequentò per circa un anno. In questa nuova storia si sentiva circondata di attenzioni e premure e valorizzata
come mai: sembrava fosse questo l'uomo giusto per lei!
Cominciava a pensare di lasciare il marito per iniziare una nuova convivenza, ma - e questo fu il motivo ufficiale che la fece recedere -
l'amante non aveva alcuna intenzione di sobbarcarsi la di lei figlia.
A questo punto quello che avrebbe dovuto diventare il suo nuovo compagno perse ogni importanza ai suoi occhi.
Si sentiva nuovamente avvilita e abbattuta: anche questo sostegno era svanito nel nulla. Si sentiva nuovamente "costretta" a stare col marito.
Ma perché non da sola?
Perché lei aveva paura della solitudine e perché non si riteneva capace di badare a se stessa: sentiva sempre di avere bisogno di un appoggio
a cui affidarsi totalmente.
Mi raccontava che, prima di incontrare quello che sarebbe divenuto suo marito, aveva avuto diverse storie, tutte finite rapidamente prima
di raggiungere un anno di durata.
Non era un caso, anche questo aspetto era collegato alle problematiche che Tessa viveva con il marito.
La dipendenza affettiva (o Love Addiction) è quasi sempre associata ad una esagerata idealizzazione dell'altro con contemporanea svalutazione di sè: il bisogno (per lo più) inconscio di chi ne è soggetto è che l'altro possa essere il serbatoio perenne da cui attingere autostima, gratificazione, valorizzazione, supporto ecc.
Tessa, piano piano, arrivò a rendersi conto dell'esistenza di questo suo bisogno.
Dopo circa sette mesi di lavoro insieme, Tessa raggiunse una certa consapevolezza di sè e del suo "modo di stare in coppia". Iniziò a rivalutare
la figura del marito che, tutto sommato, era l'unico che le era stato sempre vicino (anche se non nel modo in cui lei avrebbe voluto) e che
continuava a desiderarla.
Ci vedemmo ancora un paio di volte a distanza di un mese circa e poi, di comune accordo, terminammo il percorso.
Ricordo ancora ciò che mi disse durante l'ultima seduta:
"Mio marito, in fondo, è sempre un bell'uomo, ha un fisico atletico e credo di desiderarlo ancora...".
Ma la cosa più importante era il suo sguardo, con quella luce che si intravedeva in fondo ai suoi occhi.
Se lo desideri posso aiutarti a raggiungere la consapevolezza necessaria per capire e superare la dipendenza affettiva, ricevo a Forlì e
San Mauro Pascoli.
Per contattare il dott. Giancarlo Signorini puoi chiamare il numero 348.5220353 e prendere un appuntamento oppure inviare privatamente una mail compilando i campi sottostanti. (* campi obbligatori)
Dott. Giancarlo Signorini, Psicologo Psicoterapeuta a Forlì e San Mauro Pascoli, iscritto all'Ordine degli Psicologi della regione Emilia Romagna n. 3312.
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